la “Modulo” modificata si incendia: come travisare il senso di una Dream car

Vivere nel sogno

Nel mondo del collezionismo la cosa più difficile è mantentersi razionali. Chi può, infatti, vorrebbe poter riportare in vita tutte quelle pietre preziose della storia del car-design che l’oblio e la sorte, hanno cancellato o mutilato per sempre. Peggio ancora è pensare di dare un’anima moderna, di completamento, di ciò che il passato ci ha portato qui incompiuto. Lo Studio ha seguito direttamente alcuni casi in cui si è messo mano ad auto del passato, aprendo dibattiti su restauro, modifiche e filologia.

Ferrari 512 S Modulo

Si è affrontato il caso con il designer Paolo Martin, in quanto la sua Modulo è stata la molla scatenante, ed è “fresco” della settimana scorsa.

Ferrari 512 S Modulo è un prototipo statico realizzato tra l’11 ed il 29 agosto del ’69 da Martin, durante il mese di chiusura estiva di Pininfarina, realizzando un bozzetto del ’67, che sembra ispirato dalla lama di un coltello. “Chissà a cosa pensavo, dice ora Paolo”.

L’auto venne esposta definitivamente a Ginevra nel ’70, mostrandosi come documento da cui attingere, una sorta di compendio tipologico estremo, per autovetture sportive ultra basse. E’una Dream-car, un concetto che si rende tangibile, dotato di una valenza puramente teorica e perchè no, onirica. Oggi è stata trasformata in auto funzionante, da esibire nei più blasonati eventi motoristici, stravolgendola nel suo messaggio, nella sua storia e…quasi incendiandola!

Manomettere le idee

Con il suo essere un manifesto così astratto e potente, Modulo mosse addirittura rabbia: chi è questo modellista che fa tutto da solo e crea una cosa del genere? Qualcuno arrivò a manomettere questa stella cometa, che da azzurro tenue particolarissimo, venne fatta riverniciare di nero, in modo che non fosse più leggibile nel suo stile. Sembrava Cattivik, un’autentico sfregio al frutto proibito di Pininfarina. Anni dopo, per ovviare alla storpiatura “nera”, Modulo ricambiò colore, divenendo bianco ambulanza, cancellando comunque il suo spirito felice tipico della fine anni Sessanta, per tuffarsi nei già più cerebrotici anni Settanta.

La P33

Nel ’68 stessa fine era toccata all’ Alfa Romeo P33, una delle Dream-Car più sexy di sempre, questa volta funzionante , su meccanica Alfa Romeo 33 V8 . Sebbene splendida, anch’essa creazione del caratteriale Martin, venne fatta a pezzi e ricarrozzata con l’infelice “Cuneo”, appena otto mesi dopo la sua presentazione al Salone di Torino.

Allora ricostruiamola

Lo Studio si è adoperato a lungo affinchè rinascesse almeno un modello statico della P33:

mancava solo l’ok di Martin, dato quasi per scontato, per l’eccezionalità del valore della sua scomparsa Dream.

Non se ne fece nulla: la contrattazione durò a più riprese, e ce ne andammo paradossalmente rinforzati dall’aver abbandonato l’idea.

Il pensiero di Martin

Martin – in qualità di designer creativo – negò il permesso, dicendo che sarebbe stato un’assurdo inconcepibile riportare in vita il prototipo. Questo infatti all’epoca aveva un significato ben preciso, che si poteva vivere solo sulla pelle di quel momento storico. Costruirla senza un’epoca di appartenenza rappresentava solamente una perdita di significato. Abbiamo troppo poco tempo per pensare al passato, dobbiamo dedicarci solamente al nuovo, al contemporaneo. Una Dream Car poi, ancor più non può divenire da portatrice di innovazione a “mummia” dei tempi che furono.

La lezione fu importante, al punto che, trovandosi ora di fronte ad un ultimo disegno rimasto orfano di un altro grande designer , si è deciso di realizzarlo per promuovere invece materiali sperimentali e tecnologie innovative. Creare un ibrido e presentarlo come tale. Il passato non torna più, e accettiamo il fatto, come consiglia Martin.

Ma ci si prova lo stesso

La scuderia Glickenhause, amenricana, decide invece di dar vita a Modulo, cinquant’anni dopo, rendendola funzionante.

In questo caso il diniego di Martin si sarebbe acuito, anche per il fatto che Modulo è una Dream tra le più famose al mondo, con tanto di firma Pininfarina e Ferrari. Non si doveva pasticciare per nessun motivo. Ma la Scuderia Glickenhause porta Modulo, adattata ad uso stradale, prima a Villa d’Este – Martin non invitato – e poi a Montecarlo.

Americanata?

termine spiacevole e grossolano, che però si è udito, appioppato a questa Modulo “vivente”.

Chi studia dall’America il nosrto passato, spesso lo fa’ con un entusiasmo ed un’attenzione che certamente non sempre si trova , ad esempio, tra chi amministra il nostro patrimonio storico. Ne sia il caso di Venezia con le sue Grandi Navi pericolosissime e inquinanti a fronte di Las Vegas, posto non proprio da educande, dove per fare un Casinò simil-veneziano si è studiata la città per anni, con minuzia e attenzione indicibili. Ora c’è un casinò, certamente, che però ha un’archivio storico documentale su Venezia preziosissimo.

Glickenhasuse non poteva non voler vedere funzionare Modulo, poprio per la curiosità senza pregiudizio, diffusa dalle sue parti: ma fu un errore purtroppo, per il mancato approfondimento storico eseguito.

Perchè un errore

Modulo pare sia andata a fuoco ed è stata subito salvata dal sistema anti-incendio.

Martin è dispiaciuto, avrebbe voluto che la sua creatura andasse distrutta, perchè il suo assurdo seguito è ancor peggio di un relitto carbonizzato. Ne resta speranzoso, col suo caraterino.

Lo Studio purtroppo deve solo dargli ragione: Modulo non è stata riletta correttamente. Gli interventi leciti avrebbero potuto riguardare il ripristino del colore originale, e semmai un’approfondimento sul sistema retrovisore. Questo doveva essere a periscopio, proiettando l’immagine in uno schermo centrale al cruscotto. Prototipato all’epoca, funzionava. Pininfarina decise di non realizzarlo per il salone, perchè troppo complesso. Un visore nel cruscotto come iniziano a diffondersi oggi, grazie alle videocamere integrate: vederlo ricostruito ed esposto vicino a Modulo, sarebbe stato culturalmente prezioso. Avrebbero evidenziato il valore proprio della Dream-Car: in questo caso predire il futuro 50 anni prima!

Purchè funzionasse l’auto invece, i proprietari hanno messo due specchietti Vitaloni conici, analoghi a quelli che montavano alcune 128 coupè, Alfasud TI ed altro. Roba posticcia su di una Dream car…imperdonabile!

Il farla circolare l’ha resa banale, probabilmente goffa e impacciata: come vedere un marziano in coda al semaforo. Ora Modulo è diventata un’abito di Valentino da sfilata, preso e modificato per andare in ufficio in metrò: che senso ha? Si è davvero rovinata una magia, un grosso sfregio alla storia del design: speriamo di non vedere presto la Gioconda con gli occhi a led, con lo stesso spirito di quest’operazione!

Gli specchietti, nell’immagine sopra, sono davvero imperdonabili: da soli riescono ad annullare il significato di questa Dream car, qui messa “al pascolo” in un prato.

Voci dai frammenti: il caso della “Tapiro”.

Grande stile si ebbe invece allestendo la mostra su Giugiaro, al Mauto, nell’esporre la Volkswagen-Porsche Tapiro, completamente carbonizzata, così come rinvenuta. Dream-car, comunca anche così -e forse ancor più -ciò che era e ciò a cui alludeva con le sue lacune. Ottima scelta! Agli antipodi dunque rispetto all’aggiunto rombo di Modulo, che invece che arricchire, cancella il pathos provocatorio dell’inarrivabile.

Quando decide il marchio: Bmw Garmish

Per cocludere non si può non citare la BMW “Garmish”: non un Dream-car ma una Concept, a firma Marcello Gandini, che negli anni fu perduta. Bmw, in occasione del concorso di Villa d’Este , decide di ricostruirla. Anche in questo caso lo Studio assiste – per puro caso – alla ricostruzione dal vivo dei lamierati, mantenendo il massimo riserbo, intuendo la portata della bellissima iniziativa Bmw. L’auto è gestita con spirito tipicamente teutonico e Bmw: la ricostruzione è fedelissima, impeccabile. L’intento è infatti quello di ricollocare un tassello mancante, il cui intorno allude decisamente a coglierne gli indizi.

Bmw vuole infatti raccontarci come mai oggi le sue auto sono fatte così, e ci riporta alle origini della sua fortuna. La Garmish è la capostipite delle fortunatissime coupè compatte: se Michelotti aveva tracciato l’impareggiabile 2800, aprendo alle future serie 6, Gandini traccia le serie 3, donando anzi una proporzione che forse sarebbe stata migliore, rispetto a quelle molto piccole degli esemplari ( bellissimi) degli anni ’70 e ’80.

L’esigenza di ricostruire “Garmish”è dunque fondamentale, a chi è attento alla comunicazione come Bmw, per conservarsi nella memoria ed innovare continuamente.

Nessuna voglia di migliorare il passato dunque, ma anzi di ricrearlo il più fedelmente possibile, sotto la supervisione del suo creatore: Marcello Gandini. Garmish è il modello ricostruito del colosso di Rodi, perduto, ma ricreato per i nostri occhi di studiosi.

Speriamo davvero di veder Modulo riconsegnata alla sua dignità, senza specchi e del suo colore.

Certo il dubbio che rode è questo: come ha fatto ad esser venduta una Dream-car così importante? Perchè non era in un museo di design un’auto a cui tanto vogliamo bene? Ecco che allora che si constata che a bruciare Modulo non è stato proprio Glickenhouse…

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